La pronuncia della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, n. 22247/2021, ha recentemente statuito rilevanti principi relativamente alle clausole negoziali, contenute in un contratto individuale di lavoro (in particolare, nel caso sottoposto al Giudice di legittimità, il rapporto era relativo a figura dirigenziale), aventi ad oggetto il cd. patto di non concorrenza ed il cd. divieto di storno di clientela.
Segnatamente, la Corte d’Appello, confermando la sentenza di primo grado, condannava il lavoratore al pagamento della penale contrattuale stabilita sia per ciascuna violazione del divieto di storno che del patto di non concorrenza, oltreché a restituire il corrispettivo medio tempore percepito per il patto suddetto.
Il lavoratore ricorreva in Cassazione, sostenendo che il divieto di storno contrattualmente stabilito rappresentasse, nella sostanza, una “duplicazione” del patto di non concorrenza, con la conseguenza che avevano errato i Giudici di merito nella misura in cui avevano ritenuto di applicare la penale per ciascuna violazione sia del divieto di storno che del patto di non concorrenza.
Ciò posto, in via generale si premette che l’art. 2125 c.c. dispone la nullità patto con il quale si sia limitato lo svolgimento dell’attività del lavoratore, per il tempo successivo all’interruzione del rapporto, a meno che non venga pattuito un (i) corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e (ii) il vincolo non sia contenuto entro determinati limiti di oggetto, tempo e luogo; in ogni caso, la durata del vincolo non può essere superiore a tre anni (cinque se si tratta di dirigenti).
Quanto, invece, al divieto di storno della clientela, esso trova invece disciplina positiva nell’art. 2557 c.c. (la norma si riferisce alla cessione di azienda) e fa riferimento a tutti quei comportamenti del lavoratore che si concretino nella sottrazione di clienti sfruttando il rapporto di fiducia instaurato durante il periodo di dipendenza presso la società con cui è stato interrotto il rapporto di lavoro.
Tanto premesso, la Cassazione è intervenuta con analitica motivazione relativamente ai due istituti in questione, delimitandone i rispettivi tratti distintivi, nei termini che seguono.
In primo luogo, il Giudice di legittimità ha stabilito che il patto di non concorrenza (i) può riguardare qualsiasi prestazione lavorativa che possa competere con le attività economiche espletate dalla parte datoriale, ove si tratti di beni o servizi idonei a soddisfare le esigenze della clientela del medesimo mercato; (ii) non può compromettere ogni potenzialità reddituale del lavoratore; (iii) non può prevedere compensi simbolici o sproporzionati in rapporto alla riduzione della capacità di guadagno del lavoratore.
Nel caso sottoposto, la Cassazione riteneva valida la stipula del patto di concorrenza, posta la sua breve durata (3 mesi), l’estensione territoriale (soltanto alcuni stati europei), e ciò, si badi bene, nonostante il cospicuo ammontare previsto per la sua violazione (il 60% dell’ultima retribuzione annuale), escludendo quindi che tale pattuizione, così come “costruita”, potesse privare il lavoratore dei mezzi di sussistenza necessari al sostentamento o, in ogni caso, lederne in modo esorbitante la professionalità.
In secondo luogo, la pronuncia in questione chiarisce che il divieto di storno della clientela non può essere in alcun modo ricondotto all’art. 2125 c.c.
Tale istituto presuppone, infatti, una condotta completamente differente, proponendosi di impedire il compimento di atti e comportamenti funzionali a sviare la clientela storica sfruttando la fiducia acquisita durante lo svolgimento del rapporto di lavoro: il divieto, in altre parole, è finalizzato a tutelare l’avviamento del datore.
Pertanto, la Corte ha ritenuto che le clausole contrattuali relative al patto di non concorrenza, da un lato, e al divieto di storno di clientela, dall’altro, debbano considerarsi del tutto autonome tra loro, con la conseguenza che, che possono risultare entrambe violate con distinte condotte del lavoratore, nonostante le stesse possano risultare connesse sotto l’aspetto finalistico.