Le forme tramite cui l’attività lavorativa può essere resa sono molteplici e possono essere ricondotte, in via generale, nell’ambito del lavoro subordinato o del lavoro autonomo, cui si applicano diverse discipline sia sul piano normativo che fiscale.
I confini tra le due tipologie non sono sempre di facile determinazione, posto che l’evoluzione del mercato del lavoro ha portato alla creazione di forme “ibride” non facilmente riconducibili ad un genus o all’altro.
Segnatamente, sovente accade che taluni soggetti vengano inquadrati quali collaboratori autonomi nonostante il rapporto, al contrario, debba essere ricondotto al lavoro subordinato, e ciò per superare le tutele riconosciute dall’ordinamento ai lavoratori dipendenti (ad esempio, la stabilità del rapporto) nonché, soprattutto, per raggiungere un cospicuo risparmio per l’organizzazione aziendale (su tutto, il mancato pagamento dei contributi, oltreché il non assoggettamento ai minimi retributivi previsti dai Contratti Collettivi nazionali).
Proprio per tale ragione, qualora il lavoratore ottenga in giudizio l’accertamento che il rapporto di lavoro, formalmente inquadrato come collaborazione, rivesta o abbia rivestito, in realtà, natura subordinata, potrà rivendicare tutti i conseguenti diritti, retributivi e contribuitivi, conseguenti al diverso inquadramento.
Quali sono gli elementi di differenziazione tra il lavoro subordinato e quello autonomo?
In via generale, si premette che l’art. 2094 c.c. individua il prestatore di lavoro subordinato in colui che si obbliga, a fronte di una retribuzione, a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore; l’art. 2222 c.c., invece, definisce i caratteri del lavoro autonomo quale obbligazione di compiere un’opera o un servizio verso un corrispettivo e con lavoro prevalentemente proprio.
La Corte di Cassazione, com’è facile immaginare, è stata più volta chiamata ad esprimersi sui caratteri differenziali del lavoro autonomo e di quello subordinato, formandosi sul punto un orientamento assolutamente consolidato.
Il Giudice di legittimità ha ripetutamente stabilito che il primario indice sintomatico della sussistenza di un rapporto di lavoro di tipo subordinato deve individuarsi nell’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, cui consegue una strutturale limitazione dell’autonomia del prestatore, da un lato, e, dall’altro, il suo stabile ed esclusivo inserimento nell’organizzazione aziendale: tale tipologia di rapporto infatti, è caratterizzato dall’unilaterale potere datoriale di indicare le modalità di svolgimento della prestazione volta per volta, secondo le immanenti esigenze aziendali.
Segnatamente, quanto al potere direttivo datoriale, questo deve esplicarsi, ai fini della riconduzione del rapporto al genus del lavoro subordinato, in ordini specifici e reiterati relativamente all’esecuzione della prestazione lavorativa, non potendosi manifestare, al contrario, in direttive di carattere generale (Cfr. Cass. n. 29646/2018).
Qualora l’indice dell’assoggettamento non sia agevolmente apprezzabile a causa delle peculiarità delle mansioni svolte dal lavoratore, dovrà farsi invece applicazione dei cd. criteri complementari o sussidiari quali la continuità delle prestazioni, l’osservanza di un orario determinato, il versamento a cadenze fisse della retribuzione prestabilita, il coordinamento dell’attività lavorativa nell’ambito del complessivo assetto organizzativo datoriale e l’assenza di una seppur minima struttura imprenditoriale, e, conseguentemente, di rischio in capo al lavoratore (cfr. Cass. n. 35993/2021).
In siffatte ipotesi, spetta ai giudici di merito individuare la sussistenza o meno dei suindicati indici sussidiari – che possono assumere valenza soltanto se univoci – in forza degli elementi fattuali emergenti dal concreto svolgimento del rapporto di lavoro.
Sulla scorta delle ragioni che precedono, infatti, la Cassazione, valorizzando la sussistenza, nel caso sottoposto, dei suindicati indici sussidiari, ha stabilito la qualifica subordinata di un rapporto di lavoro avente ad oggetto mansioni comportanti l’esecuzione di prestazioni elementari, ripetitive e predeterminate nonostante l’assenza di un univoco assoggettamento del prestatore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro (cfr. Cass. n. 17384/2019).