Quando la concessione di credito da parte della Banca può essere considerata abusiva?
Con la locuzione “concessione abusiva di credito” si intende una pluralità di fenomeni accomunati dal fatto che l’erogazione del credito venga effettuata dalla Banca, con colpa o dolo, ad un’impresa che si trovi in una così grave situazione di difficoltà economica-finanziaria che difettino concrete prospettive di superamento della crisi.
Il riferimento, segnatamente, è sia alla corresponsione di nuova finanza che, si badi beni, al mantenimento dei finanziamenti e/o degli affidamenti in corso.
La concessione abusiva del credito ricorre nelle ipotesi in cui il soggetto finanziatore assuma un rischio irragionevole, e, in particolare, in tutti i casi in cui una ragionevole valutazione ex ante escluda la possibilità di risanamento dell’impresa e, comunque, di una sua proficua permanenza nel mercato.
Tale contegno della Banca, in siffatte ipotesi, integra un illecito, poiché rappresenta una violazione dei primari doveri di prudente gestione previsti dal Testo Unico Bancario – nonché dagli accordi di Basilea – a tutela dell’integrità del mercato e dei soggetti che vi operano e, in particolare, quello di verificare il cd. merito creditizio dei propri Clienti, utilizzando a tal fine adeguate informazioni.
Ciò perché, in buona sostanza, il credito concesso permette ad un’impresa in stato di decozione di permanere in modo “artificioso” sul mercato, ingenerando l’erronea fiducia nella stessa in capo ai creditori sociali e, più in generale, a tutti i soggetti con cui intrattiene rapporti commerciali.
Per i motivi che precedono, può quindi individuarsi il confine tra finanziamento “meritevole” e finanziamento “abusivo” avendo riguardo alla fattibilità e alla ragionevolezza del piano di risanamento, predisposto dall’impresa, al fine di tentare di superare lo stato di crisi in essere.
La concessione del credito ad impresa non meritevole, infatti, può determinare, sul piano economico, la diminuita consistenza del patrimonio sociale e, sul piano contabile, un aggravamento delle perdite favorite dalla continuazione dell’attività di impresa.
In caso di fallimento del soggetto finanziato, qualora sussista una responsabilità del finanziatore in forza del pregiudizio diretto causato al patrimonio dell’impresa fallita dalla concessione del credito, il curatore fallimentare è legittimato ad agire nei confronti della Banca per ottenere il risarcimento dei danni cagionati.
Al curatore fallimentare, infatti, spetta la legittimazione per le cd. azioni di massa, finalizzate a ricostruire, a beneficio di tutti i creditori sociali, la garanzia patrimoniale generica di cui all’art. 2740 c.c.
In altre parole, il danno fatto valere è quello subito dalla massa creditoria, posto che l’azione della curatela risulta è finalizzata alla ricostituzione del patrimonio del soggetto fallito, nella sua consistenza precedente all’abusiva concessione del credito.
Concludendo, è di fondamentale importanza muovere alcune precisazioni circa il profilo dell’onere della prova sotteso alla configurabilità della responsabilità della Banca per la concessione del credito ritenuta “abusiva”.
Il curatore deve infatti provare (i) la violazione delle regole disciplinanti l’attività bancaria, connotata, sotto il punto di vista soggettivo, da dolo o almeno imprudenza, negligenza o violazioni di legge o di norme regolamentari; (ii) il danno-evento, ovverosia la prosecuzione dell’attività d’impresa in perdita; (iii) il danno-conseguenza, rappresentato dall’aumento del dissesto nonché, infine, (iv) il rapporto di causalità tra i tali danni e la condotta tenuta, e, in particolare, che l’evento dannoso risulti la conseguenza normale del comportamento antecedente, in termini dicd. causalità adeguata.
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Avv. Gianluca Bolzan
BOLZAN Studio Legale
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*Il presente contributo non ha fini scientifici ma meramente divulgativi: ogni singolo caso concreto dovrà sempre essere oggetto di approfondimento.