In via generale, le criptovalute possono essere ricondotte al genus della moneta virtuale, definita dalla direttiva n. 843/2018 UE quale rappresentazione di valore digitale, non emessa o garantita da una Banca centrale, che non possiede lo status giuridico di valuta (o moneta) ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio, che può essere memorizzato e trasferito elettronicamente; la stessa direttiva specifica che, sebbene le valute virtuali possono essere utilizzate come mezzo di pagamento, esse nella pratica vengono utilizzate anche come mezzo di scambio o di investimento.
Analoga definizione si rinviene, nell’ambito del nostro ordinamento, nel decreto legislativo n. 125/2019.
Ciò premesso, riguardo alla qualificazione giuridica delle criptovalute si “scontrano” due orientamenti principali, l’uno che le riconduce agli strumenti finanziari e l’altro ai beni giuridici.
La prima opinione valorizza la circostanza che l’acquisto delle criptovalute avviene spesso mediante exchange che reclamizzano la loro vendita quale vera e propria proposta di investimento che, nella maggior parte dei casi, avviene in violazione delle disposizioni previste dal Testo unico in materia di intermediazione finanziaria (TUF), applicabile, invece, a qualsivoglia altra tipologia di investimenti mobiliari.
Tali exchange, infatti, non soltanto non sono autorizzati alla collocazione di tali prodotti, ma non offrono ai potenziali clienti, che nella stragrande maggioranza dei casi rivestono la qualifica di consumatori, alcuna informativa precontrattuale, con conseguente sussistenza dei presupposti del reato di abusivismo finanziario previsto dall’art. 166, comma 1, lett. c), TUF.
Nei termini che precedono si è espresso il Tribunale di Verona, nel 2017, e la Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione, con le pronunce nn. 26807/2020, 44337/2021.
Altro orientamento, invece, riconduce le criptovalute ai beni giuridici ai sensi dell’art. 810 c.c., e, in particolare, ai beni immateriali, valorizzando la circostanza che gli stessi, oltre ad essere acquistati a titolo derivativo tramite un exchange, possono essere acquistati a titolo originario mediante la cd. attività di mining, che consiste nella loro estrazione sfruttando il sistema hardware di un personal computer, seguendo un procedimento prestabilito.
Il Tribunale di Firenze, Sezione Fallimentare, aderendo alla prospettazione in oggetto ha stabilito che, posto che la direttiva n. n. 843/2018 UE qualifica le criptovalute quali mezzi di scambio, tale definizione, di per sé, presuppone la loro qualificazione quali beni giuridici.
In particolare, il Tribunale evidenziava che le criptovalute sono beni sia consumabili, in ragione del loro uso, sia fungibili perché, qualora della medesima natura e tipologia, sono riconducibili ad uno stesso protocollo informatico; nel complesso, quindi, sono soggetti alla medesima ratio degli altri beni che, su accordo delle parti, permettono di fare pagamenti.
Concludendo, si attende un nuovo intervento del legislatore comunitario che chiarisca una volta per tutte la qualificazione giuridica delle criptovalute.